I bird strike, dagli albori del volo ad oggi

Non occorre essere un ornitologo per poter ammirare esemplari di volatili librarsi in volo. Ma, esiste una categoria di lavoratori o di semplici appassionati che mal digerisce la presenza degli uccelli in volo, soprattutto se in prossimità degli aeroporti.

Parliamo, ovviamente dei piloti, da sempre preoccupati per le sorti della loro salute e di quella del proprio velivolo nel caso di impatto in volo con gli uccelli.

bird strike, all’interno della più ampia categoria dei wildlife strike (le collisioni tra aerei e animali selvatici) rappresentano, infatti, quasi il 98% di tutti gli incidenti causati dalla fauna selvatica. Più frequenti per gli airliner, non sono però rari nemmeno per chi pilota velivoli di aviazione generale. 

Un esempio?

Si deve tornare tanto indietro nel tempo, ai primordi del volo per la specie umana: il primo caso di bird strike affonda le sue radici alle prime esperienze di volo dei famosi fratelli Wright. Le cronache dell’epoca raccontano, infatti, di un incidente con un volatile con il Wright Flyer III, il terzo aeroplano realizzato dai Wright.

Siamo nel 1905 e da allora il problema è sempre stato presente, così come i tentativi di trovare contromisure efficaci per questo genere di incidenti. 

Il monitoraggio dei bird strike negli anni è cresciuto, non solo perché si tratta di un problema primario di sicurezza di volo, ma anche per i costi connessi. In generale, si stima che le collisioni in volo o a terra costino all’aviazione commerciale circa un miliardo e duecento milioni di dollari all’anno. Sicuramente non bruscolini.

Quanti bird strike e quali danni

Negli Stati Uniti, tra il 1990 e il 2020 sono stati registrati circa 238mila collisioni. Di questi, il 7% ha provocato danni agli aeromobili, ma una percentuale molto minore (sotto al 3%) ha causato danni sostanziali o con effetti catastrofici. Meno dell’1% degli impatti ha comportato lo spegnimento del motore colpito.

Fin qui la statistica a confortarci. Ma rimangono vividi nella memoria casi eclatanti. Un po’ di esempi tristemente famosi: nel 2009 delle oche canadesi hanno impattato con i motori di un A320, costringendo il pilota a un ammaraggio sul fiume Hudson, a New York.

A Ciampino, nel 2008, uno stormo di storni causò la perdita di controllo di un B738. In Russia, nel 2019, un A321 è riuscito ad atterrare in un campo, poco dopo il decollo, dopo un impatto con dei gabbiani lungo la pista.

Quali i periodi più rischiosi?

Sicuramente l’estate per l’Italia, almeno, I rischi maggiori si registrano tra maggio e agosto con diverse specie: dalle rondini, fino ad arrivare al gheppio e al gabbiano reale. Con 126 aeroporti su tutto il territorio nazionale, è l’Enac a gestire i protocolli di sicurezza e a indicare ai singoli scali quali norme attuare per diminuire i possibili incidenti. Dai vecchi “spaventa passeri”, ai falchi, fino a sistemi tecnologicamente più evoluti, sono molti i tentativi per mitigare la “lotta” per la supremazia del cielo tra aerei e uccelli. E per garantire la sicurezza degli animali piloti da poco più di un secolo e di quelli che i cieli li solcano da migliaia di secoli. D’altronde, le piste rimarranno sempre un habitat adatto per le specie di uccelli: praterie di erba incolta e assenza di esseri umani garantiscono riparo per gli uccelli stanziali, ma anche luoghi di sosta per le specie migratorie. 

 

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